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      Gli incendi duravano tuttavia, e minacciavano di stendersi a tutta la città; nè le violenze dei soldati cessavano.
      Il Municipio domandò in carità che gli venissero restituite le macchine idrauliche, che come nobile trofeo di guerra, avevano nel dì 31 gli Austriaci menate via, e le ottenne. Domandò una guardia pel palazzo di città e pei suoi impiegati, che più fiate erano stati bistrattati dai soldati e perfino dagli ufficiali; e anche questo gli fu consentito. Allora si cominciò a rifiatare e a dare qualche provvedimento. Ma troppo più facile era frenare gli incendi, che ammansare gli inferociti vincitori, massime con animi sì ripugnanti alla viltà delle supplicazioni come sono i Bresciani; e con quel soprarrivare ad ogni ora di nuove truppe, le quali si sguinzagliavano per la città cavando da tutto pretesto di forzare le porte e d'insanguinare le mani. Così alcuni, da più giorni rimbucati per le cantine, furono allora malconci o morti. Nè i generali, nè gli ufficiali superiori si mostravano solleciti dell'onore o dell'umanità, se appena se ne eccettuino alcuni pochi. E tra questi vogliamo menzionare il colonnello Jellachich, il quale volle mostrarsi, fra compagni, umano. Narrano ch'egli, udendo minacciata da' suoi la chiesa di sant'Affra, ove si erano ricoverate molte donne, accorresse a guardia della soglia, che la religione avrebbe mal difesa, e vi rimanesse supplicando finchè i suoi non furono passati oltre. Anche parecchi altri ufficiali, che nel verno avevano avuta le stanze in Brescia, accorsero per salvare dal sacco le case degli ospiti.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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