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      Lontani i patrioti più autorevoli, lontana tutta la gioventù più animosa e più esperta dell'armi, scarso l'erario, le mura indifese, non un cannone, nè un nodo di milizie regolari, nè un ufficiale di esperienza, col quale consigliarsi. E nondimeno o sul campo, o di ferite negli ospitali morirono 1514 nemici; e fra questi un tal numero d'ufficiali, da provare qual fosse l'accanimento nel combattere e il terrore del soldato, a muovere il quale, dopo ch'ebbe assaggiato di che sapessero i Bresciani, bisognarono stimoli di fieri castighi, di insolita emulazione e d'infami promesse. Fra i morti 30 ufficiali, tre capitani, un tenente colonnello, due colonnelli e il generale Nugent. Nel giorno 17 gli Austriaci contavano ancora più di seicento feriti nei tre ospitali.
      Più fiate il castello saettò l'incendio e la morte sulle case cittadine, delle quali trecento furono consunte dal fuoco, o guaste; e il danno passò i dodici milioni di lire. Piovvero mille seicento bombe e palle: alcune di pietra, le quali, furono dal Leshke gettate per sordidezza. I vincitori, non contenti alle multe, ai danni dell'incendio ed alle tasse di guerra di sei milioni e mezzo, mandarono al Municipio la polizza dei proiettili e della polvere, chiedendo che la città ne pagasse le spese.
      I circa seicento Bresciani che morirono (e più di metà furono donne, fanciulli o inermi presi e martoriati a furore, ovvero assassinati dai giudizi militari a dispetto delle condizioni della resa) furono spazzati via alla rinfusa; e di molti non si trovò il nome o il cadavere.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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