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      Gli uomini che hanno fede soltanto in ciò che vedono e che toccano; quelli la cui religione è materia e calcolo, tanto che vorrebbero gettare ghiaccio e chiudere un abbaco fin dentro al divampante cuore del popolo; i pochi di spirito che vorrebbero le rivoluzioni misurate a compasso e che presumerebbero fare l'economo agli slanci popolari, questa gente, che è quanto codarda, altrettanto inetta a capire i grandi problemi dell'umanità, nella caduta di Brescia non vide che quello con cui finiscono le vittorie austriache: oro espilato e vittime massacrate. Il popolo per lo contrario scôrse nel mezzo delle grandi rovine della patria, il grande compenso; misurò le sue forze, sentì la sua potenza, acquistò la sicurezza per l'avvenire; e, superbo della sua opera, per dodici anni nudrì ed espresse un sempre crescente odio allo straniero. Noi teniamo poi per fermo che abbia di molto operato sul cuore non solo dei Bresciani, ma di tutte le genti italiane, lo spettacolo d'un popolo che si dibatte per dieci non interrotti dì colle smisuratamente superiori forze nemiche, e l'un di più che l'altro progredisce nella disperata lotta, e cade schiacciato soltanto dallo sterminato numero, ma pur contando, sopra una delle sue, dieci delle vittime nemiche. La grandezza delle tradizioni e degli esempi hanno sempre gran parte nella riabilitazione dei popoli. Le rivoluzioni di Brescia, di Milano, di Bologna e delle altre città italiane s'ebbero i loro frutti; ne scorgiamo il genio in tutti que' portentosi avvenimenti che vennero succedendosi ne' giorni dell'oggi; e quella fiamma di cui tutta Italia è invasa, la chiamiamo fulgidissima favilla di quelle rivoluzioni.


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Il martirio di Brescia.
Narrazione documentata
di Felice Venosta
Editore Barbini Milano
1863 pagine 125

   





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