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      Donati avea assistito la Lina in una lunga e pericolosa malattia come un vero fratello avrebbe potuto fare, ed ella avea per il quasi fratello di suo marito tutte le cure, tutte le delicate premure di una sorella.
      La intimità delle due piccole famiglie era divenuta così cordiale, così sincera, così aperta a due battenti, che gli amici, i conoscenti, il mondo, non la stimavano né troppa, né sospetta. Così rara, ne convengo, com'era rara l'onestà di quelle anime; ma se in una sola di esse ci fosse stato del poco di buono, non avrei bisogno di tirare in campo il Fato degli antichi, o la coda del diavolo dei moderni.
      La sera, dopo il desinare, andavano a spasso tutti e tre. Donati dava il braccio alla Lina, e si impettiva allorché leggeva negli occhi dei viandanti “che bella donnina!”. La domenica pranzavano insieme, e prendevano un palchetto al Comunale o all'Alfieri. Donati avea la smania delle sorprese; sorprese che si poteano indovinare col calendario alla mano, a Natale, a Pasqua, e il dì dell'onomastico di Lina. Arrivava con un'aria disinvolta che lo tradiva peggio delle sue tasche rigonfie come bisacce, e si fregava le mani vedendo sorridere la Lina. La sera, d'inverno, si raccoglievano nel salotto, presso il tavolino; facevano quattro chiacchiere; sfogliavano delle riviste, dei romanzi nuovi, indovinavano delle sciarade, o Lina suonava il piano. Donati aveva una pazienza ammirabile per sorbirsi il racconto dettagliato di tutti i romanzi che leggeva Lina - era il solo vizio che ella avesse - sapeva indovinare delicatamente l'arte di ascoltare, di farsi punto ammirativo, o punto interrogativo, di agitarsi sulla seggiola, di convertire lo sbadiglio in esclamazione, mentre, povero diavolo, cascava dal sonno, o capiva poco, o, semplice e tranquillo com'era, non s'interessava affatto a tutti i punti ammirativi cui si credeva obbligato dalla situazione.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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