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      - mi disse. - Nulla, - risposi, - c'è troppa luce qui -. Ella, povera ragazza, moderò la fiamma della lucerna. Non si avvedeva del turbamento che c'era in me, e non avea paura della funesta avidità con la quale i miei occhi la divoravano. Parlava sorridente, giuliva, come un uccelletto innamorato canta su di un ramoscello; mi raccontò la sua storia, una di quelle storie che l'angelo custode ascolta sorridendo. Aveva amato il cugino con cui l'avevo vista al veglione, era venuta colla zia da Lecco per lui, e il cugino, in capo a due o tre giorni di esitazione, le avea fatto capire bellamente che non l'amava più. Allora, dopo le prime lagrime, ella avea pensato a quello sconosciuto che al veglione della Scala l'avea guardata in quel modo. - Io ti ho letto negli occhi che ti piacevo, - mi disse, - e ti sorrisi perché ciò mi rendeva tutta lieta; in quel momento avevo un gran dolore in cuore. Se mio cugino avesse seguitato ad amarmi, io non te lo avrei mai detto, ma ti avrei sempre voluto bene come ad un fratello. Ora che mio cugino non vuol saperne più di me... ebbene, anch'io voglio amare chi più mi piace! - Tossiva di quanto in quanto, le guance le si imporporavano, e gli occhi le si facevano umidi. - Non mi dire che mi sposerai, se vuoi lasciarmi come quell'altro... Sono stata tanto malata! - Addio! - le dissi. - Tornerai domani? La zia va dalle mie cugine, non aver paura; tornerai? - Addio -.
      Non la vidi più. Sentii che mi sarei trovato umile e basso dinanzi alla fiducia e all'entusiasmo di quell'amore che non dividevo più. E sentivo del pari di aver perduto irremissibilmente un tesoro.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Lecco Scala