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      Saridda era occupatissima a preparare lampioncini di carta colorata, e glieli schierava sul naso, lungo il davanzale, col pretesto di metterli ad asciugare. Una volta che si trovarono insieme in un battesimo, non si salutarono nemmeno, come se non si fossero mai visti, e anzi Saridda fece la civetta col compare che aveva battezzata la bambina.
      - Compare da strapazzo! - sogghignava Nino. - Compare di bambina! Quando nasce una femmina si rompono persino i travicelli del tetto -.
      E Saridda, fingendo di parlare colla puerpera:
      - Tutto il male non viene per nuocere. Alle volte, quando vi pare d'aver perso un tesoro, dovete ringraziar Dio e San Pasquale! ché prima di conoscere bene una persona bisogna mangiare sette salme di sale.
      - Già, le disgrazie bisogna pigliarle come vengono; il peggio è guastarsi il sangue per cose che non ne valgono la pena. Morto un papa, se ne fa un altro -.
      In piazza suonava il tamburo, quello della meta.
      - Il sindaco dice che vi sarà la festa, - sussurravano nella folla.
      - Litigherò sino alla consumazione dei secoli! Mi ridurrò povero e in camicia come il Santo Giobbe, ma quelle cinque lire di multa non le pagherò, dovessi lasciarlo nel testamento!
      - Sangue d'un cane! che festa vogliono fare se quest'anno morremo tutti di fame? - esclamava Nino.
      Sin dal mese di marzo non pioveva una goccia d'acqua, e i seminati, gialli, che scoppiettavano come l'esca “morivano di sete”. Bruno il carradore diceva invece che appena San Pasquale esciva in processione pioveva di certo.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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