Pagina (226/993)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      - Per questo si suol dire “quando mangi, chiudi l'uscio, e quando parli, guardati d'attorno”.
      Stavolta parve proprio che il diavolo andasse a stuzzicare “Pentolaccia” il quale dormiva, e gli soffiasse nell'orecchio gl'improperii che dicevano di lui, e glieli ficcasse nell'anima come un chiodo. - E quel becco di “Pentolaccia”! - dicevano, - che si rosica mezzo don Liborio! - e ci mangia e ci beve nel brago! - e c'ingrassa come un maiale! -
      Che avvenne? Che gli passò pel capo a “Pentolaccia”? Si rizzò a un tratto senza dir nulla, e prese a correre verso il paese come se l'avesse morso la tarantola, senza vederci più degli occhi, che fin l'erba e si sassi gli sembravano rossi al pari del sangue. Sulla porta di casa sua incontrò don Liborio, il quale se ne andava tranquillamente, facendosi vento col cappello di paglia. - Sentite, “signor compare”, - gli disse - se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la festa! -
      Don Liborio lo guardò negli occhi, quasi parlasse turco, e gli parve che gli avesse dato volta al cervello, con quel caldo, perché davvero non si poteva immaginare che a “Pentolaccia” saltasse in mente da un momento all'altro di esser geloso, dopo tanto tempo che aveva chiuso gli occhi, ed era la miglior pasta d'uomo e di marito che fosse al mondo.
      - Che avete oggi, compare? - gli disse.
      - Ho, che se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la festa! -
      Don Liborio si strinse nelle spalle e se ne andò ridendo. Lui entrò in casa tutto stralunato, e ripeté alla moglie:


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Pentolaccia Pentolaccia Liborio Pentolaccia Liborio Dio Liborio Pentolaccia Dio Liborio