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      Il suo ragazzo medesimo, quello dell'Anonima, allorché gli facevano fare il servizio delle vetture di rimessa, dopo che si era insaccate le mani sudice nei guanti di cotone, se le teneva sulle cosce al pari della statua dal robone, e non avrebbe guardato in faccia suo padre che l'aveva fatto. Piuttosto preferiva l'altro suo figliuolo, quello che aiutava a stampare il giornale. Il Bigio spendeva un soldo per leggere a cassetta, fra una corsa e l'altra, tutte le ingiustizie e le birbonate che ci sono al mondo, e sfogarsi colle stampate.
      Aveva ragione il giornale. Bisognava finirla colle ingiustizie e le birbonate di questo mondo! Tutti eguali come Dio ci ha fatti. Non mantelli da mille lire, né ragazze che scappano per cercar fortuna, né denari per comperarle, né carrozze che costano tante migliaia di lire, né omnibus, né tramvai, che levano il pane di bocca alla povera gente. Se ci hanno a essere delle vetture devono lasciarsi soltanto quelle che fanno il mestiere, in piazza della Scala, e levar di mezzo anche quella del n. 26, che trova sempre il modo di mettersi in capofila.
      Il Bigio la sapeva lunga, a furia di leggere il giornale. In piazza della Scala teneva cattedra, e chiacchierava come un predicatore in mezzo ai camerati, tutta notte, l'estate, vociando e rincorrendosi fra le ruote delle vetture per passare il tempo, e di tanto in tanto davano una capatina dal liquorista che aveva tutta la sua bottega lì nella cesta, sulla panca della piazza. L'è un divertimento a stare in crocchio a quell'ora, al fresco, e di tanto in tanto vi pigliano anche per qualche corsa.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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