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      Prima di partire egli l'aveva pregata di tenergli d'occhio la casa, mentr'era via. Quando non se ne ha, bisogna ingegnarsi. Ella si era messa a servire per raggranellare un po' di corredo. Ora aveva il bisognevole e ogni cosa meglio di prima; ma pensava sempre al suo paese, quantunque non ci avesse più nessuno.
      Un giorno il caporale si alzò colle lune a rovescio, e appioppò otto giorni di consegna a Balestra, per un bottone che mancava alla stringa del cappotto. - E al superiore non si risponde nemmeno che non si possono avere gli occhi di dietro. - Femia, inquieta, si avventurò sino alla porta del castello, in mezzo alle carrette degli aranci, e ai soldati di cavalleria che strascinavano le sciabole. Allorché lo rivide finalmente la domenica, coi guanti di bucato, fu una vera festa.
      - O come?
      - Ma già! - rispose lui. - Questo vuol dire militare! -
      Alle volte le dava del tu, all'uso del suo paese. Ma ella si faceva rossa dalla contentezza, come se fosse per un altro motivo. Allora si lagnò che stesse zitto, se aveva bisogno che gli attaccassero un bottone, o altro, quasi gli amici non ci fossero per nulla.
      Balestra grato la regalò di sorbetti, lei ed i bambini, schierati dinanzi alla carretta, che ficcavano le mani nella sorbettiera; e Femia leccava il cucchiarino, adagio adagio, guardandolo negli occhi. Lui pagava da principe, coi guanti di cotone, e la treccia al chepì. Come suonava la banda, lì in piazza, si sentiva dentro il petto quelle trombe e quei colpi di gran cassa. Poi la ritirata si mise a squillare con una gran malinconia, davanti al castello tutto nero, in fondo alla piazza formicolante di lumi.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Balestra Femia