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      Il sor Gostino, un pezzo d'uomo che avrebbe potuto fare il portinaio in un palazzo, menava giù nel mucchio, col manico della scopa, per chetarli.
      Accorsero le guardie e li condussero in questura. Là, colle ossa peste, cominciarono a ragionare. Carlotta sbraitava che non era vero niente, in coscienza sua! Ma con quell'omaccio non voleva più starci, ora che l'aveva sospettata! Tanto non erano marito e moglie.
      - Se non siete marito e moglie... - disse il Delegato.
      - Dopo cinque mesi che si stava insieme come se lo fossimo! - rinfacciava il Bobbia. - Cosa gli è mancato in cinque mesi, dica, sor Delegato? E vestiti, e stivaletti, e scampagnate, le feste e le domeniche! Allora avrei dovuto aprire gli occhi, quando si perdeva nei boschetti a Gorla, con questo e con quello, sotto pretesto di cogliere i pamporcini. E lasciavo fare come fossimo marito e moglie!
      - Io non ne sapevo nulla! - borbottò Crescioni, asciugandosi il sangue dal naso.
      - Giacché non ne sapeva nulla, stia tranquillo che non pretendo restare a carico suo, se non mi vuole! - strillò Carlotta, inviperita nel passare in rassegna gli strappi del vestito nuovo.
      Il sor Gostino, testimonio, metteva buone parole. - Via, non è nulla! Dev'essere un malinteso -. Ma il Bobbia s'era cacciato per forza in casa altrui, a fare il prepotente; e fu miracolo a cavarsela con un po' di carcere. - Tanto, non era vostra moglie! - profferì il Delegato. E il Bobbia rispose:
      - Per me gliela lascio volentieri, quella gioia! Oramai ne sono stufo -.
      L'amante si grattava il capo.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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