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      Si vedevano venire i Tedeschi in file serrate, un battaglione dopo l'altro, che non finivano mai.
      Là fu colpito Gallorini. Una palla gli ruppe il braccio. Malerba lo voleva aiutare. - Che cos'hai? - Nulla, lasciami stare -. Il tenente faceva anche lui alle fucilate come un semplice soldato, e bisognò correre a dargli una mano, Malerba dicendo ad ogni colpo: - Lasciate fare a me che è il mio mestiere! - I Tedeschi scomparvero di nuovo. Poi fu ordinata la ritirata. Il reggimento non ne poteva più. Fortunati Gallorini e il Lucchese che riposavano. Gallorini s'era seduto a terra, contro il muro, e non si voleva più muovere. Erano circa le 4, più di otto ore che stavano in quella caldura colla bocca arsa di polvere. Però Malerba ci aveva preso gusto e domandava: - Ora che si fa? - Ma nessuno gli dava retta. Scendevano verso il torrentello, accompagnati sempre dalla musica che facevano le cannonate sul monte. Poscia da lontano videro il villaggio formicolare di uniformi di tela. Non si capiva nulla, né dove andavano, né cosa succedeva. Alla svolta di un ciglione s'imbatterono nella siepe dietro la quale il Lucchese era caduto. E neppure Gallorini non c'era più. Tornavano indietro alla rinfusa, visi nuovi che non si conoscevano, granatieri e fanteria di linea, dietro agli ufficiali che zoppicavano, laceri, strascinando i passi, col fucile pesante sulle spalle.
      Calava la sera tranquilla, in un gran silenzio, dappertutto.
      A ogni tratto si incontravano carri, cannoni, soldati che andavano al buio, senza trombe e senza tamburi.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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