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      Le pareva di sognare. Cercava di leggergli negli occhi cosa dovesse fare per meritarsi quel paradiso. Anch'esso da qualche tempo sembrava che sognasse. La fissava pensieroso. Rispondeva: - Nulla, non ci badare; ho delle seccature -. Un giorno le disse ridendo che suo padre era furibondo contro di lei. Aveva il sorriso pallido. In seguito perse anche quel sorriso. Sovente veniva tardi, di cattivo umore. L'abbracciava in un certo modo per dirle: - Ti voglio tanto bene, sai! - In un momento d'abbandono le confidò che era soprapensiero per certe cambiali; i creditori non volevano aspettare più. Suo padre in collera protestava che non gli avrebbe dato un soldo se non mutava via. Santina chinava il capo tristemente, col martello di perdere il suo amore; giacché non le passava neppure pel capo che potesse sposar lei. Egli dovette andare a Genova per due o tre giorni onde aggiustare i suoi affari. Al momento di partire, sotto la tettoia della stazione, le aveva detto: - Non dubitare, non dubitare! - colla voce ancora innamorata. Le aveva promesso di scriverle ogni giorno. Ogni giorno Santina andava alla posta a prendere le sue lettere, per tre mesi. Infine ne arrivò un'ultima in cui egli scriveva: “Che posso farci? Mio padre vuole che pigli moglie ad ogni costo”. E le mandava un vaglia di mille lire. Un signore che passava dovette afferrarla per il braccio onde non cadesse sotto l'omnibus di Porta Romana.
      Ora ella portava i cappelloni a piume, e gli stivalini col tacco alto come la Matilde.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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