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      - Persino quell'altra nube sórta a un tratto minacciosa in quel cielo azzurro, la malattia della figlia, come una ombra nera che dilatavasi da quei cortinaggi pesanti ed inerti, e ingigantiva, sino a scontrarsi con degli altri giorni neri - la morte di sua madre, l'agonia del marito, la faccia grave e preoccupata di quel medico che era venuto un'altra volta, il tic-tac di quella stessa pendola che riempiva tutta la stanza, tutta la casa, di una aspettativa lugubre. Le parole della madre e della figlia, che volevano sembrar gaie e spensierate, morivano nella semioscurità di quella vòlta altissima.
     
      Ad un tratto i campanelli elettrici squillarono nella lunga infilata di sale sfavillanti e deserte. I servitori silenziosi si affrettavano senza far rumore dinanzi al dottore, il quale giungeva calmo, col sorriso mentito in quell'attesa angosciosa.
      La contessa si rizzò senza poter dissimulare un tremito nervoso.
      - Buona sera! Un po' tardi! Finisco adesso il mio giro. E questa cara ammalata come è stata? -
      S'era assiso di contro al letto; aveva fatto togliere la ventola alla lampada ed esaminava l'inferma, tenendo fra le dita bianche e grassocce il polso delicato e pallido della fanciulla; ripeteva le solite domande. La contessa rispondeva con un lieve tremito nervoso nella voce; Bice con monosillabi tronchi, sempre con quegli occhi lucenti e inquieti. Nelle sale accanto si succedevano i colpi di campanello discreti, e la cameriera entrava in punta di piedi per sussurrare all'orecchio della signora il nome degli intimi che venivano a chieder notizie dell'inferma.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Bice