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      Di tanto in tanto un domestico in fretta; una cameriera socchiudeva discretamente l'uscio della camera buia del tutto. Là dentro a intervalli si udiva come un soffio di parole mormorate da voci che sembravano di un altro mondo; e il fruscìo dei vestiti dava l'immagine di un battere d'ali.
      Era una pleurite che donna Vittoria aveva presa all'uscire da una festa, in mezzo al suo drappello di eleganti che si affrettavano a metterle la pelliccia su le spalle, a darle il braccio, ad aprirle lo sportello del legno tiepido e profumato come un nido. Ella aveva sentito in quel momento un brivido scenderle per le belle spalle nude, ancora ansanti per il valzer, sotto la lontra del mantello. Poi s'era messa a letto e non s'era più levata. Il suo medico, il medico della società, era venuto da principio a far quattro chiacchiere, sprofondato nella gran poltrona ai piedi del letto, buttando giù svogliatamente, prima d'andarsene, senza togliersi i guanti, due o tre righi della sua bella scrittura di signora su di un foglietto medioevo con la corona a cinque foglie. Però dopo due o tre giorni s'era fatto serio, e il marito l'accompagnava nel salotto, fermandosi a parlare tutti e due un momento nel vano della finestra. Alla porta era una vera processione di carrozze, di amici, di servitori in livrea, che lasciavano una parola, un nome, una carta di visita, delle quali il portinaio ogni sera recava un vassoio tutto pieno in anticamera, colla lista fitta di condoglianze e d'augùri, insieme col bollettino del giorno accomodato in guisa da poter passare sotto gli occhi dell'inferma, la quale voleva leggere tutti i giorni i nomi di coloro che erano venuti a domandare della sua salute; e alle volte gli occhi ardenti di febbre si fermavano su di una firma, e si velavano di lagrime.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Vittoria