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      - Vorrei vedere i miei amici... tutti i miei amici... - mormorò.
      E la sfilata incominciò: tutti quelli che erano passati a chieder notizie di lei; tutti quelli che poterono essere informati del desiderio dell'inferma; così, come si incontravano, amici e conoscenti, in visita, dal confettiere, fra una pasta e un bicchierino di madera, al Corso, con una parola buttata là fra tante altre di chi veniva a dare il buon giorno allo sportello della carrozza. Nella sala tornarono a sfilare dei lunghi strascichi di seta, dei passi che facevano scricchiolare gli stivalini verniciati, delle ondate di profumi leggeri e delicati nell'atmosfera grave, delle osservazioni brevi scambiate a bassa voce nell'uscire con un segno del capo, stringendo il manicotto sul petto, e con la mazzettina in mano. Calava la sera, una sera tiepida e dorata di primavera. Per la via si udiva il rumore non interrotto delle file delle carrozze che tornavano dal passeggio. Solo la camera dell'inferma, che dava sul giardino, rimaneva in gran pace. Un domestico portò una lampada accesa.
      Giungeva ancora qualcheduno in ritardo, col viso interrogativo, che il marito introduceva, uno per volta, con un cenno del capo e qualche parola lenta. Poi lui si lasciava cadere nella gran poltrona del medico ai piedi del letto, come vinto dalla stanchezza; e stava a guardare l'inferma, di già coi segni della morte sul viso all'ombra della ventola ricamata. Ella salutava gli amici con una occhiata, con un sorriso triste, con qualche parola breve e dolce che sembrava una carezza, e ad ogni nuovo arrivo le si rischiarava il viso, quasi girassero il paralume dall'altra parte.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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