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      - Comare Menica stavolta vi fa una bella bambina, - gli dicevano tutti all'osteria. E lui, contento come una Pasqua, si affrettava ad attaccare i muli per arrivare a casa prima di sera. Il baio, birbante, che lo guardava di mal'occhio, per certe perticate che se l'era legate al dito, come lo vide spensierato, che si chinava ad affibiargli il sottopancia canterellando, affilò le orecchie a tradimento - jjj! - e gli assestò un calcio secco.
      Nanni era rimasto nella stalla, a scopare quel po' d'orzo rimasto in fondo alla mangiatoia. Al vedere il babbo lungo disteso nell'aia, che si teneva il ginocchio colle due mani, e aveva la faccia bianca come un morto, volle mettersi a strillare. Ma compare Cosimo balbettava: - Va' a pigliare dell'acqua fresca, piuttosto. Va' a chiamare lo zio Carmine, che mi aiuti -. Accorse il ragazzo dell'osteria col fiato ai denti.
      - O ch'è stato, compare Cosimo? - Niente, Misciu. Ho paura di aver la gamba rotta. Va' a chiamare il tuo padrone piuttosto, che mi aiuti -.
      Lo zio Carmine andava in bestia ogni volta che lo chiamavano: - Che c'è? Cos'è successo? Non mi lasciano stare un momento, santo diavolone! - Finalmente comparve sulla porta, sbadigliando, col cappuccio sino agli occhi.- Cos'è stato? Ora che volete? Lasciate fare a me, compare Cosimo -.
      Il poveraccio lasciava fare, colla gamba ciondoloni, come se non fosse stata più roba sua. - Questa è roba della Gagliana, - conchiuse lo zio Carmine, posandolo di nuovo in terra adagio adagio. Allora compare Cosimo sbigottì, e si abbandonò sul ciglione, stralunato.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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