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      Filomena, che stava all'erta per timore del babbo, si accorse subito di quegli occhietti che si ficcavano nella siepe, e gli saltò addosso colla ciabatta in mano. - Cosa vieni a fare qui, spione? se stai a raccontare quel che hai visto, guai a te, veh! - Ma don Tinu la calmava con belle maniere: - Non lo strapazzate quel ragazzo, comare Mena, ché gli fate pensare al male -.
      Però Nanni non poteva levarsi dagli occhi il viso rosso di Filomena, e le manacce di don Tinu che brancicavano. Quando lo mandavano a comperare il vino all'osteria, si piantava dinanzi al banco della ragazza, che glielo mesceva colla faccia tosta, e lo sgridava: - Guardate qua, cristiani! Non gli spuntano ancora i peli al mento, quel moccioso, e ha già negli occhi la malizia! -
      Nanni voleva far lo stesso colla Grazia, la servetta dell'osteria, quando andavano insieme a raccoglier l'erbe per la minestra, lungo il fiume. Ma la fanciulla rispondeva:
      - No. Tu non mi dai mai niente -.
      Essa invece gli portava, nascoste in seno, delle croste di formaggio, che gli avventori avevano lasciato cadere sotto la tavola, o un pezzetto di pane duro rubato alle galline.
      Accendevano un focherello fra due sassi, e giocavano a far la merenda. Ma Nanni finiva sempre il giuoco col buttar le mani sulla roba, e darsela a gambe. La ragazzetta allora rimaneva a bocca aperta, grattandosi il capo. E alla sera si buscava pure gli scapaccioni di Filomena, che la vedeva tornare spesso colle mani vuote. Nanni, per risparmiarsi la fatica, le arraffava anche la sua parte di cicoria o di finocchi selvatici.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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