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      - Ah, carogna! e rispondi anche! Ti farò vedere io come finisce!...
      - Lasciate stare la cinghia, don Tinu, o finisce male, vi ho detto -.
      E mise la mano in tasca.
      Don Tinu ch'era stato il suo maestro e gli vide la faccia pallida, mutò subito registro:
      - Ah, così rispondi al tuo padrone? Ora ti lascio morir di fame. Pigliati la tua roba, e via di qua -.
      Nanni raccolse i quattro cenci nel fazzoletto e conchiuse:
      - Benedicite a vossignoria -.
      E se ne andò a trovare il Zanno.
      - Bada che qui si guarda e non si vede: si ode e non si sente: si ha bocca e non si parla - gli disse il Zanno per prima cosa. - Se hai giudizio starai bene; se hai la lingua lunga andrai a darla ai cani, come quel re che aveva le orecchie lunghe e non poteva tenere una cosa sullo stomaco. Io non faccio chiacchiere né chiassi come don Tinu, bada! Marcia, torna e sparisci! E bravo chi ti trova! -
     
      Menavano una vita allegra, ma sempre coll'orecchio teso e un piede in aria. Di notte, se picchiavano all'uscio, era un lungo tramestìo, un ciangottare dietro l'uscio, un andare e venire prima di tirare il catenaccio. Poi Nanni udiva il suo padrone che parlava con qualcuno sottovoce nell'altra stanza, e pestare nel mortaio; oppure erano strilli e pianti soffocati. Una notte, che non poteva chiudere occhio, vide dal buco della serratura il Zanno che intascava dei soldi, e una che gli parve Grazia, bianca come la cera vergine, la quale se ne andava barcollando.
      Ma il Zanno, appena gli chiese se era davvero Grazia, montò in furia come una bestia.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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