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      - Sissignore.
      - E a ragione?
      - Sissignore -.
      Allora la vedova si celò il viso fra le mani.
      - Com'è possibile che Rosario Testa, giovane, marito di una bella donna, gli desse ragione d'essere geloso... per voi?
      - Com'è vero Dio, questa è la verità, - rispose la Malerba.
      - Va bene, continuate.
      - Avevo conosciuto quel poveretto... il morto, prima di quest'altro cristiano, molto tempo prima, prima ancora che si maritasse. Allora mi chiamavano la Mora dei Canali, Rosario Testa faceva il fruttaiuolo, lì alla Peschiera. Era un libertino, buon'anima. Le lavandaie dei Canali, le serve che venivano a far la spesa, con quella sua galanteria di far regali, se le pigliava tutte. Ma per me specialmente ci aveva il debole, ché una volta alla festa dell'Ognina gli ruppero la testa per via di un marinaio ubriaco che mi voleva. Poi seppi che si maritava e mutava vita. Andò a stare a San Placido col suo banchetto. Né visto né salutato. Io mi misi con Malannata, sì, ch'erano i giorni del colèra.
      Buon uomo anche lui, buono come il pane, e se lo levava di bocca, quel poco che guadagnava, per darlo a me. Ma geloso come il Gran Turco: “Dove sei stata? Cosa hai fatto?” E poi si picchiava la testa con un sasso, pentito delle botte che mi dava. Quell'annata del colèra, che tutti scappavano via e si moriva di fame davvero, egli voleva anche mettersi a beccamorto, per non farmi fare la mala vita, col castigo di Dio che si aveva addosso. Si lasciava morire di fame piuttosto che mangiare del mio guadagno.
      Sì, glielo dico in faccia, ora che l'avete a condannare, perché questa è la verità dinanzi a Dio.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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