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      Mi diceva, poveretto: “No, non me ne importa. È che penso al come lo guadagni, questo pane, e non posso mandarlo giù”. Ma io che potevo farci? Poi lui lo sapeva che cosa io ero. “Non importa”, tornava a dire: “almeno non ci voglio pensare”. Ma aveva i suoi capricci anche lui, come una donna, e certuni non me li voleva attorno. Allora diventava come un pazzo; si strappava i capelli e si rosicava le mani, perché non era più giovane. Quando mi vedeva insieme al doganiere del molo, che era un bell'uomo, colla montura lucida, mi diceva: “Vedi questo quattrino arrotato, che io tengo in tasca apposta? con questo ti taglierò la faccia, e dopo m'ammazzo io”. E lo fece davvero. Io gli dissi: “Che serve? Ora che m'avete sfregiata nessuno mi vorrà, e non sarete più geloso” -.
      S'interruppe, con un orribile sorriso di trionfo, guardando sfrontatamente in giro il presidente, i giurati, i carabinieri, cinghiati di bianco, incrociando sul petto il vecchio scialle, con un gesto vago.
      - Ma non fu così, signor presidente. Mi volevano ancora, per sua bontà. Già gli uomini, sono come i gatti...
      - E anche Rosario Testa? -
      Ella chinò il capo, assentendo, due o tre volte, con quel sorriso.
      - Sissignore, anche lui! -
      La vedova adesso la guardava cogli occhi ardenti e feroci, le labbra pallide come le guance.
      - V'ho detto ch'era un discolo, buon'anima. E anch'io, al rivederlo, mi sentivo tutta fiacca, come m'avesse fatto bere. Dicevo di no, perché Malannata era lì vicino, a scaricar zolfo nel magazzino dietro la Villa, e tante volte mi aveva detto lui pure: “Bada che se torni con Rosario, vi faccio la festa a tutti e due”. Ma l'amore antico non si scorda più, vossignoria!


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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