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      La sera poi doveva spendere altri sei soldi per andare al Caffè Nazionale, dove era quasi certa di vedere il maestro, la sola persona che conoscesse nella città. Negli intermezzi, quando poteva, egli andava a salutarla; da lontano, prima di parlare, gli si vedeva in viso la stessa notizia scoraggiante: - Nulla ancora! - Poi, al vederla così triste e rassegnata, colla chicchera di Caffè vuota sul tavolino, voleva pagar lui. Ma essa non permetteva, arrossendo fino ai capelli. - No, signore, un'altra volta! - Egli non osava insistere, ma avrebbe voluto che lei lo considerasse come un vero amico, come un fratello. Le confidava i suoi piccoli guai, anche lui, per incoraggiarla. Le narrò a poco a poco tutta la sua vita, proprio come a una sorella, oggi una cosa, domani l'altra: il fallimento dello zio che s'era preso cura di lui orfano, la vocazione strozzata dal bisogno, il pane trovato con mille stenti qua e là, tutta la sua giovinezza scolorita, scoraggiata, senza gioie, senza fede, senza amore. Essa allora sorrideva, scotendo il capo con una grazia giovanile che la faceva tornar bella. - No, no! Ve lo giuro! Mai! - Allora chinavano il viso, malinconici. Una volta i loro occhi s'incontrarono, e si fecero rossi tutti e due.
      Ma spesso egli giungeva accompagnato da un donnone coi baffi come un uomo d'arme, la quale aveva il colorito acceso, con un gran cappellone di felpa ornato di piume rosse, ed era serrata in una veste di seta grigia che pareva dovesse scoppiare a ogni momento. Quelle volte il maestro non osava muoversi neppure; il donnone, dal suo posto, non lo perdeva di vista un momento, sotto le piume rosse del cappellone.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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