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      Sol di rose, intrecciar ti vo' la vita... - colla chiave che s'era levata di tasca aveva aperto un usciolino sgangherato. Nell'androne buio, prima d'accendere un fiammifero, se la strinse sul costato come nel melodramma, di tre quarti, un braccio sulla spalla e l'altro sotto l'ascella.
      Là nel lettuccio magro e cencioso della cameraccia nuda che prendeva lume da un cortiletto puzzolente, ella gli narrò il povero romanzo della sua vita, per quel bisogno d'abbandono con cui gli si era data, mentre egli sbadigliava, cogli occhi gonfi, e l'alba insudiciava le pareti untuose, da cui pendevano appesi ai chiodi i costumi stinti da teatro. - Aveva amato un giovane che usciva dal Conservatorio, con due o tre spartiti pronti, e intanto s'era messo a dozzina in casa loro, per sessanta lire al mese, tutto compreso. Gli altri pigionali erano un professore, un impiegato al dazio, e due studenti. Sua sorella lavorava in un magazzino di guanti; il babbo era guardia municipale; lei gli avevano consigliato d'imparare il canto, che sarebbe stata una fortuna per tutti, e le avevano fatto lasciare anche il mestiere d'orlatrice, col quale si sciupava le mani, per novanta centesimi al giorno. Finché giungevano le vacanze, nove mesi dell'anno, si stava piuttosto bene. Poi quando gli studenti se ne partivano, il professore andava a fare i bagni, e l'impiegato desinava in un'osteria fuori porta per risparmiare i soldi dell'omnibus, si restringevano un po' nelle spese, e il giovane del Conservatorio s'adattava con loro, proprio come uno della famiglia.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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