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      L'avevano sentito tutta la notte, colle braccia al collo l'una dell'altro, cogli occhi sbarrati nelle tenebre, contando le ore che sfilavano lente sui tetti. Poi lo vide partire coll'ombrello sotto l'ascella e la cappelliera in mano, senza dirle una parola davanti ai suoi. La signora però, coll'istinto della gelosia materna, indovinò le lacrime che doveva soffocare la ragazza in quel momento, e si diede a sorvegliarla. Un giorno, dopo averla mandata fuori con un pretesto, salì nella cameretta di lei, si chiuse dentro, e quando la Lena fu di ritorno colla spesa, trovò la padrona seria e accigliata, che le aggiustò il conto su due piedi, le ordinò di far fagotto, e la mise alla porta con una brutta parola.
      La povera Lena, non sapendo che fare, schiacciata sotto la vergogna, prese la diligenza per la città, e andò a trovare il suo amante. Egli non era in casa. L'aspettò sulla porta, seduta sul marciapiede, col fagottino accanto. Dopo la mezzanotte lo vide che rientrava insieme a un'altra. Allora si alzò, colle gambe rotte dal viaggio, e si allontanò rasente al muro zitta zitta. Il giovane non ne seppe mai nulla.
      Era sopravvenuto un altro guaio, il suo fallo che era visibile a tutti. Cercò inutilmente di collocarsi. Spese quei pochi quattrini che le avanzavano, e infine, per vivere, fu costretta a prendere alloggio in un albergaccio dove la Questura veniva, di tanto in tanto, a far le sue retate. Lì ebbe a fare la prima volta con quella gente. Padrona e avventori ridevano delle paure sciocche di lei, quando le guardie entravano all'improvviso di notte, e frugavano sotto i letti.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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