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      Si faceva bella ancora per me. Diceva “che erano le sue prove generali”. Una sera si fece trovare in abito da ballo, presso un gran fuoco. Com'era contenta, povera Ginevra! Quel sorriso ingenuo nella bocca e negli occhi che le mangiavano il viso, mi mise un brivido nei capelli: lo stesso brivido che mi faceva trasalire quando l'udivo gemere sottovoce nella stanza accanto per abbigliarsi - e quel giorno che la cameriera mi chiamò spaventata, cercando colle mani tremanti la boccettina d'etere sopra la tavoletta. Essa, pure in quel momento, coprivasi colle mani il misero petto scarno...
      Una volta mi disse: - Quanto saremmo stati felici... allora... di poterci vedere liberamente, come adesso!... -
      In dicembre peggiorò rapidamente. Non si alzò più dal letto; non parlò più di viaggi. Il parlare stesso la stancava. La baraonda e l'allegria fragorosa del Natale napoletano le davano noia. Sembrava distaccarsi a poco a poco da ogni cosa.
      Però voleva ancora che andassi a vederla spesso, più che potevo, e lagnavasi che tutti l'abbandonassero. Stava poi ad ascoltarmi, immobile, guardandomi fisso. Alle volte i suoi occhi si offuscavano, quasi guardassero dentro se stessa, o in un gran buio, e il viso le si affilava maggiormente, con un'espressione d'angoscia vaga. Dopo sembrava ritornare da lontano, con una cert'aria smarrita. Mi sorrideva dolcemente, quasi per scusarsi dell'involontaria distrazione, ma in modo che stringeva il cuore.
      In quei giorni tornò a Napoli suo marito, chiamato per telegrafo.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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