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      Nel lasciarsi, madre e figlia, alla stazione, erano commosse entrambe, abbracciandosi senza dire una parola, all'ultimo momento, quasi dovessero lasciarsi per sempre.
      La contessa giunse tardi a casa sua, di sera, affranta, intirizzita dal freddo. La casa vuota e deserta era fredda ancor essa, malgrado il gran fuoco acceso, malgrado le lumiere solitarie, nelle stanze malinconiche.
      La salute della contessa Anna declinò rapidamente. Da prima ne accusò la stanchezza del viaggio, le commozioni, la stagione rigida. Stette circa tre mesi fra letto e lettuccio, e il medico tornò a visitarla tutti i giorni.
      - Non è nulla - ripeteva lei. - Oggi mi sento meglio. Domani m'alzerò -.
      Alla figliuola scriveva regolarmente, senza accennare però alla gravità del male che l'uccideva. Verso il principio dell'autunno parve migliorare davvero. Ma a un tratto peggiorò in guisa che i familiari si credettero obbligati a telegrafare al marchese.
      Roberto giunse il giorno dopo, spaventato.
      - Bice non sta bene, - disse al dottore che l'aspettava. - Sono inquieto anche per lei. Non sa nulla... Ho temuto che la notizia... l'agitazione... il viaggio...
      - Ha ragione... Anche la salute della marchesa ha bisogno di molti riguardi... È una malattia gentilizia, pur troppo!... Io stesso non avrei preso su di me tale responsabilità... E se non fosse stata la gravità del caso...
      - Molto grave? - chiese Roberto.
      Il dottore scosse il capo.
      L'inferma, appena le annunziarono la visita del genero, entrò in una grande agitazione.
      - E Bice?


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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