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      Eppure, tutta la notte questa visione non mi fece chiudere occhio.
      Lasciamo stare, lasciamo stare! Ecco che ricasco di nuovo nella fantasticheria erotica - la più malsana divagazione della mente, dice il mio medico. Ora non c'è nulla per me che valga una buona nottata di sonno profondo, collo spirito e il corpo nella bambagia tiepida delle coperte. Erano tante notti che non potevo dormire, mangiato dalla tosse, mangiato dalla febbre! Sentite, quando vi dicono che in cotesti momenti hanno pensato a voi, che siete stata il conforto, il sollievo, che so io, vi mentiscono come furfanti. In principio, forse, quando il male non ha compìto il suo lavorìo, quando il medico non ha fatto il viso lungo, quando non si è visto passare lo spettro nero nelle prime ombre della sera... Allora, forse... quando il sangue ancora ricco dà con la febbre quella sensazione di benessere, si può pensare a lei, alla donna, alla treccia bionda sul guanciale, alla mano bianca che apre dolcemente le cortine, agli occhi lucenti che aspettano... Così mi guardavate, dal fondo di quella loggia. - Che cosa ne avete fatto del vostro bel cavaliere? Sapete, ultimamente lo incontrai a Napoli. Non volle riconoscermi, e fece bene. Ho un sospetto che quell'uomo in dominò della cavalchina fosse lui, e che abbia udito quando deste l'indirizzo al gondoliere...
      Lasciatemi in pace, lasciatemi in pace, ecco quello che vi ho detto poi, nelle lunghe notti senza sonno e senza sogni. E vi ho detto anche peggio. Che ve ne importa?


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Napoli