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      Si scervellò un mese intero, col capo fra le mani, a cercare un bel titolo pel suo teatrino, qualcosa che pigliasse la gente per gli occhi e pei capelli, lì, nel cartellone dipinto e coi lumi dietro. - Le Marionette parlanti! - Sì, com'è vero ch'io mi appello Candeloro Bracone! parlanti e viventi meglio di voi e di me! Non deve passare un cane che abbia un soldo in tasca dinanzi al mio teatro, senza che dica: “Spendiamo l'osso del collo per andare a vedere cosa sa fare don Candeloro!” -
     
      L'oste veramente non si sarebbe lasciato prendere a quelle spampanate, perché sapeva che gli avventori seri preferiscono andare a bere il buon vino nel solito cantuccio oscuro; e del resto, lui voleva un genero con una professione da cristiano, come la sua, a mo' d'esempio, e non un commediante con la zazzera inanellata, che parlava come un libro e gli incuteva soggezione.
      - Quello è un tizio che ci farebbe muovere a suo piacere come i burattini, te e me! - disse alla figliuola. - Bada ai fatti tuoi: le buone parole, qualche risatina anche, con gli avventori. E poi orecchie di mercante. Hai inteso? -
      Ma il tradimento gli venne da un finestrino che dava sul palcoscenico, al quale la ragazza correva spesso di nascosto a mettere un occhio, e dove si scaldava il capo con tutte quelle storie di paladini e di principesse innamorate. Don Candeloro, dacché s'era dichiarato con lei, lasciava socchiusa apposta l'impannata, e le sfuriate di amore, Rinaldo e gli altri personaggi, le rivolgevano lassù; tanto che la ragazza ne andava in solluchero, e aveva a schifo poi di lavare i piatti e imbrattarsi le mani in cucina.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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