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      Ehi, dico, Sereni, è quanto possiamo far di meglio. Non ti cavare gli occhi sotto quel lampione, che lo scritto so io cosa dice -.
      Ma il principe si scusò dicendo di avere un appuntamento al Circolo, e Macerata non si sentiva di pagare anche i brindisi che gli altri avrebbero fatti alla diva. Rimasero Baroncini, il quale non voleva passare per straccione o per avaro, ricusando di pagar da cena, e Sereni che aveva letto: “Impossibile per questa sera, mio caro... Abbiate pazienza... Sono affranta... Sognerò di voi...”. Per altro, tutti e due avevano bisogno di pensare alla diva, vicino a degli altri che avrebbero pure pensato a lei o parlato di lei.
      Nei fumi del vino, più tardi, poiché Baroncini aveva fatto le cose per bene, Barbetti, commosso anche lui, sentenziava:
      - Cari amici miei... Il telegrafo non sapete cosa significhi... L'impresario... l'agente teatrale... Dei colpi di gran cassa per far quattrini... Siamo giusti... il mondo gira su di un pezzo da cinque lire... Ciascuno secondo il suo mestiere... L'arte, il giornalismo... tutte belle cose... Segui bene il mio ragionamento, Sereni... Io sono un artista... Bene... io appartengo al pubblico... il pubblico è il mio amante... Tu sei innamorato di me, artista... bene... Se Venere, in camicia, venisse a dirmi in certi momenti... Barbetti, dammi una notte d'amore... No, no, e poi no! -
     
     
      IL TRAMONTO DI VENERE
     
      Quando Leda, astro della danza, splendeva nel firmamento della Scala e del San Carlo, come stella di prima grandezza, contornata di brillanti autentici, e regalava le sue scarpette smesse ai principi del sangue e del denaro, chi avrebbe immaginato che un giorno ella sarebbe stata ridotta a correre dietro le scritture e i soffietti dei giornali, cogli stivalini infangati e l'ombrello sotto il braccio - a correre specialmente dietro un mortale qualsiasi, fosse pur stato Bibì, croce e delizia sua?


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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