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      A un tratto, corse la voce che egli guariva asini e muli, con certi rimedi che sapeva lui - e la fede viva. Se mancava la fede, addio virtł dei semplici, e tanto peggio per la bestia che crepava, salute a noi. Poi furono i numeri del lotto che gli vennero in mente, come un'ispirazione del cielo che gli diceva all'orecchio: - Escirą il tale, il tale, e il tal altro numero -. Veramente a tanta grazia divina recalcitrava egli stesso, semplice frate laico, senza neppure gli ordini sacri. Resisteva alla tentazione, si confessava indegno, faceva il sordo o lo scemo, arrivava a tapparsi le orecchie insino, quando i poveri giuocatori gli correvano dietro supplicando: - Per la santa tonaca che portate! - Per l'anima dei vostri morti! - e per questo, e per quest'altro. - Due parole sole, e ci togliete dai guai! - Intanto i numeri che gli ballavano dentro, e le dita stesse che si tradivano e accennavano il terno, senza sua voglia, soltanto al modo di lisciare la barba e di far segno: - zitto! - Chi sapeva intendere poi e cavarne il terno ci pigliava l'ambo almeno. E l'elemosine fioccavano.
      Il padre guardiano, uomo rozzo all'antica, prese infine Vito Scardo a quattr'occhi, e gli fece una bella lavata di capo: - A che giuoco giuochiamo? Che significa questa faccenda? - Lui a testa bassa, colle mani in croce nei maniconi, rispose tutto compunto che significava che il Signore lo chiamava in religione, e se non lo lasciavano entrare in noviziato sarebbe andato a fare l'eremita in cima a una montagna.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





Vito Scardo