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      Lo stomaco se n'era già bell'e sceso in fondo alle calcagna, con quella solfa. A buon conto è meglio correre a casa, e stare a vedere come si mettono le cose da dietro l'uscio. Scendo quatto quatto dal muricciolo, e filo carponi lungo la siepe. Le Proscimo allora mi vedono passare; la vecchia apre un po' di finestra, e si mette a strillare: - O zio Lio - Cosa succede? - Per amor di Dio! - C'era anche la figliuola, Nunzia, dietro la madre, più morta che viva anche lei; tutt'e due che non sapevano far altro: - Signore! - Madonna! - Ahimé! - Bene - dico io - chiudetevi in casa. Stiamo a vedere -.
      Mi chiudo in casa mia anch'io, e stiamo a vedere. Niente. Non passa un cane. La pace degli angeli da queste parti. Soltanto lassù che si divertono sempre a cannonate. - Buon pro vi faccia! Tanto, qui il sangue non arriva, quando vi sarete accoppati tutti -. Poteva essere mezzogiorno, a occhio, ché il sagrestano non si arrischiava certo sul campanile quella volta. Quasi quasi m'arrischio a mettere il naso fuori di nuovo, quand'ecco, crac, il tetto dei Minola che rovina, e poi un altro, lì a due passi. Le palle ci piovono sui tetti, adesso!
      Che vedeste! Chi è rimasto a fare il bravo va a cacciarsi sotto il letto. Altri che s'erano rintanati nelle cantine o in qualche buco, saltano fuori all'impazzata. Pianti, grida, un baccano d'inferno. Io andavo correndo di qua e di là per la casa, senza sapere dove ficcarmi, talmente ogni colpo me lo sentivo fra capo e collo. - Aiuto! - Cristiani! - gridavano le Proscimo.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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