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      Se don Basilio Arlotta non snocciola la dote in contanti, spengo i lumi e calo la tela -.
      Don Basilio arrabattavasi appunto a mettere insieme la dote confacente alla nascita della sua Agnese, giacché di nobiltà in casa ce n'era assai, ma pochi beni di fortuna, e imbrogliati fra le liti per giunta. Il pover'uomo che voleva far contenti tutti, e non ci vedeva dagli occhi per la figliuola ingolfavasi nelle spese: venti salme di maggese alle Terremorte seminate tutte in una volta; la lite di Palermo spinta innanzi a rotta di collo. - Come chi dicesse un pazzo che giuoca ogni cosa su di una carta, a fin di bene, sia pure, per amor della famiglia; ma fu quella la sua rovina.
      Lavorava come un cane, sempre in faccende, di qua e di là, con gente d'ogni colore che gridava e strepitava. Partiva all'alba pei campi, e tornava a tarda sera, sfinito, coll'aria stravolta, sognando anche la notte i seminati in cui aveva messo il poco che gli rimaneva, e tutte le sue speranze. - San Giovan Battista! - Anime del Purgatorio, aiutatemi voi! - Così pregava la Madonna dell'Idria, accendendole di nascosto ogni sabato la lampada, dinanzi all'immagine benedetta del Papa, perché facesse piovere. Teneva nascoste ai suoi le lettere dell'avvocato che gli parlavano della causa. In casa sforzavasi di mostrarsi allegro, il poveraccio. Rispondeva alle occhiate timidamente ansiose della moglie: - Va bene - Non c'è male - Domeneddio non ci abbandonerà in questo punto... - Si confessò e si comunicò a Pasqua; si mise in grazia di Dio, pregando coll'ostia in bocca per la buon'annata, per la vittoria della lite, per la buona riuscita del matrimonio che doveva far felice la sua creatura.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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