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      Il suo mondo finiva lì, al cornicione della casa dirimpetto che affacciavasi sopra il muro del giardino, al pezzetto di collina che si vedeva dalla finestra, al gomito della stradicciuola che metteva capo al parlatorio. Le ore e le stagioni si succedevano nel monastero allo stesso modo, col sole che scendeva più o meno basso sul cornicione, colla collina che era verde o brulla, coi polli che razzolavano nella stradicciuola, o si radunavano all'uscio del pollaio. Anche le voci dei vicini erano tutte note. Allorché andò via la tessitrice che stava di faccia alla chiesuola fu un avvenimento, quando non si udì più il battere del pettine ogni mattina. Suor Agnese non ebbe pace finché non riescì a sapere dal sagrestano dov'era andata e perché era andata via, quella cristiana.
      Non che cercasse il pettegolezzo, ma per semplice curiosità, massime da che era divenuta sorda. Siamo fatti di carne infine, e il mondo ostinavasi a insinuarsi sin là, pian piano, coi sermoni del confessore, colle chiacchiere del sagrestano, coi discorsi dei parenti che venivano in parlatorio, colle liti fra le monache, e gl'intrighi che nascevano quando trattavasi di eleggere le cariche pel triennio. Oh allora!
      Suor Gabriella, ch'era la superbia in persona, si faceva umile come un agnello pasquale; e suor Maria Faustina, otto giorni prima, aveva sulla faccia arcigna un sorriso amabile. Fra le suore poi erano conciliaboli a tutte le ore, durante la ricreazione, o quando si riunivano nel tinello a preparare i dolci e le paste per la solennità, a Pasqua o a Natale.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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