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      La domenica di carnevale dai Bozzo ci era un po' di festino. Bruno vi andò lui pure, colla fisarmonica, per svagarsi, ed anche perché sapeva che Mastro Nunzio vi avrebbe condotto la figliuola, e voleva vedere come andava a finire. Mentre dunque suonava la fisarmonica e faceva ballare gli amici, arrivò infatti mastro Nunzio, colla Nunziata in gala, e dietro Badalone gonfio come un tacchino.
      Se Bruno Alessi in quel momento non fece uno sproposito e poté andare innanzi colla sonata, fu proprio un miracolo, ed anche per non lasciare in asso i ballerini. Per giunta Badalone prese subito la sposa a braccetto, senza dire né uno né due, e si mise a ballargli sotto il mostaccio - polche, valzeri, contradanze - Nunziata che si dimenava con bel garbo e gli faceva il visavì, e lui saltando come un puledro, tutto rosso e scalmanato. Il povero Bruno intanto gli toccava portare il tempo e inghiottire veleno. Infine lasciò il posto a Zacco, ch'era lì pronto colla cornamusa, e volle fare quattro salti anche lui.
      - Permettete, amico? - disse a Badalone, toccandosi pulitamente il berretto.
      Quello screanzato invece lo squadrò prima ben bene, e poi rispose asciutto:
      - Non permetto. Perché? -
      Gli disse anche quel “perché”, che fa montare la mosca al naso! Fortuna che Bruno Alessi era un galantuomo, e non voleva più averci a fare colla giustizia. Ma gli giurò in cuor suo: - Ti farò becco, com'è vero Dio! -. E volle piantar subito ballo e ballerini. Non ci furono cristi.
      Se ne vedono civette al mondo! Sfacciate come quella lì, che ridono a Cajo e a Tizio, e passano da una mano all'altra peggio dei cani di strada che fanno festa a tutti.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
pagine 993

   





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