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      Basta salire sul Duomo in un bel giorno di primavera per averne un'impressione complessiva. È un'impressione grandiosa ma calma. Al di là di quella vasta distesa di tetti e di campanili che vi circonda, tutta allo stesso livello, si spiega la pianura lombarda, di un verde tranquillo, spianata col cilindro, spartita colle seste, solcata da canali diritti, da strade più diritte ancora, da piantagioni segnate col filo, senza un'ondulazione di terreno e senza una linea capricciosa in gran parte. L'occhio la percorre tutta in un tratto sino alla cinta delle Alpi ed alle colline della Brianza. E se rimaneste un giorno intero lassù non ne avreste un'impressione nuova, né scoprireste un altro dettaglio. È la stessa cosa percorrendo i dintorni immediati della città. Sempre le stesse strade più o meno diritte, fiancheggiate dagli stessi alberi; il medesimo fossato da una parte, o il medesimo canale dall'altra, lo stesso muro grigio, rotto di tanto in tanto dal portone di una fabbrica, sormontato da un fumaiuolo nero che sporca il cielo azzurro, gli stessi orti chiusi tra filari di gelsi e divisi in scompartimenti di cavoli e lattughe senza mutar di prospettiva. Sicché la cosa più difficile per un viandante pare che dovrebbe essere di riconoscere la sua strada fra quelle altre cento strade che si somigliano tutte, e per un proprietario di ritrovare il suo podere fra tutti quei poderi fatti sul medesimo stampo.
      Nondimeno il milanese ha la passione della campagna. Bisogna vederlo a San Giorgio o in qualche altra festa campestre per farsene un'idea.


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Tutte le novelle
di Giovanni Verga
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