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      La Longa corse subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattr'occhi colle vecchie stoviglie, e padron 'Ntoni disse al figliuolo:
      — Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più.
      Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a Messina, e aspettarono più di un'ora, pigiati dalla folla, dietro lo stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti, le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringimento di cuore che si aveva prima.
      — Addio 'Ntoni! — Addio mamma! — Addio! ricordati! ricordati! — Lì presso, sull'argine della via, c'era la Sara di comare Tudda, a mietere l'erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c'era venuta per salutare 'Ntoni di padron 'Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell'orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che 'Ntoni salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a guardare finché il treno non si mosse. Alla Longa, l'era parso rubato a lei quel saluto; e molto tempo dopo, ogni volta che incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le voltava le spalle.
      Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii.


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I Malavoglia
di Giovanni Verga
pagine 309

   





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