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      Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e dell'asino che portava quattro quintali meglio di un mulo, povera bestia.
      Mena l'accarezzava colla mano, la povera bestia, ed Alfio sorrideva come se gliele facessero a lui quelle carezze. — Ah! se il mio asino fosse vostro, comare Mena! — Mena crollava il capo e il seno le si gonfiava pensando che sarebbe stato meglio se i Malavoglia avessero fatto i carrettieri, ché il babbo non sarebbe morto a quel modo.
      — «Il mare è amaro, ripeteva, ed il marinaro muore in mare».
      Alfio che aveva fretta d'andare a scaricare il vino della Santuzza, non sapeva risolversi a partire, e rimaneva a chiacchierare della bella cosa che era il fare l'oste, un mestiere col quale si ha sempre il suo guadagno, e se aumenta il prezzo del mosto basta crescere l'acqua nei barili. — Lo zio Santoro si è fatto ricco in tal modo, ed ora chiede l'elemosina per passatempo.
      — E voi ci guadagnate bene, coi carichi del vino? domandò la Mena.
      — Sì, nell'estate, quando si può andare anche di notte; allora mi busco una bella giornata. Questa povera bestia se lo guadagna il pane. Quando ci avrò messi da parte un po' di soldi comprerò un mulo, e potrò tirarmi su a fare il carrettiere davvero, come compare Cinghialenta.
      La ragazza era tutta intenta a quello che diceva compare Alfio, e intanto l'ulivo grigio stormiva come se piovesse, e seminava la strada di foglioline secche accartocciate.


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I Malavoglia
di Giovanni Verga
pagine 309

   





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