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      I tentativi adunque destinati a conoscerne l'indole, a illuminare questi primordiali oggetti, sono meritevoli di qualche attenzione. Se fra le tenebre, ove sta riposta la parte preziosa dell'uomo, che si cela all'uomo medesimo, ci fosse possibile carpire una nozione esatta del piacere, e del dolore, una precisa definizione, che ce ne palesasse la vera essenza, si sarebbe fatto un passo importantissimo, e sarebbesi acquistata una generalissima e utilissima teoria applicabile alla liberale eloquenza, alla seduttrice poesia, alle bell'arti tutte e all'uso comune della vita medesima, perchè ci darebbe la norma, e ci additerebbe i mezzi, onde potere colle attrattive di lui rendere le azioni degli uomini cospiranti alla nostra felicità.
      Fra i molti filosofi, che della natura del piacere hanno scritto dopo l'epoca della ristorazione delle lettere, si distinguono singolarmente le opinioni di Des Cartes, del Wolf, e del signor Sulzer. Il primo fa consistere il piacere nella coscienza di qualche nostra perfezione: il secondo nel sentimento della perfezione: il terzo nell'avidità dell'anima per la produzione delle sue idee. Sia però detto colla venerazione dovuta al merito di questi autori, queste definizioni mancano e di chiarezza, e di precisione. Il piacere di spegnere la sete, il piacere di riposarsi dopo la stanchezza e una infinita schiera di piaceri singolarmente fisici nè ci fanno sentire una perfezione qualunque, meno poi hanno relazione veruna coll'avidità dell'anima per produrre le sue idee.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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