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      Se quest'uomo, che di sua indole è straniero alla iniquità, con uno slancio felice carpirà il momento per fare una generosa azione, o se mutando clima, e trasportato ove la memoria de' suoi mali non giunga, si disporrà a cominciare una serie di azioni nobili e virtuose, egli tanto maggiori piaceri morali proverà, quanto più furono austeri i tormenti, che il vizio gli pose intorno al cuore; gli sembrerà di respirare un'aria più dolce e leggiera, il sole avrà per lui una più ridente faccia, gli oggetti che gli si presenteranno, gli daranno nuove e grate sensazioni, tutta la natura sarà abbellita per lui singolarmente al principio della sua onorata vita.
      Non però i piaceri morali che produce la virtù, sono, o possono costantemente essere tali, che disobblighino gli uomini dal ricompensare l'uomo, che la pratica. Sono lusinghiere le apparenze, sotto le quali alcuni filosofi rappresentarono l'uomo virtuoso, quasi che nella coscienza propria ei debba ritrovare la voluttà sempre pronta, qualunque sia lo stato di vita o di fortuna, sano o infermo, propizia o avversa; e ravvisarono la virtù sotto l'idea platonica di premio a sè stessa. Felice immaginazione, se fosse atta a riscuotere gli uomini e guidarli sulle tracce di lei! Ma l'abitudine a ben operare diminuisce nel cuor dell'uomo il dolor morale del timore della fama, e a proporzione vanno illanguidendo i piaceri morali, che vi corrispondono. Alcuni semiviziosi, vedendo l'uomo virtuoso assediato dalla gelosia, e dall'invidia degli emuli, amareggiato, e contraddetto, s'immaginano ch'ei trovi perfettamente ogni consolazione nel suo cuore, e soffocano in tal guisa il desiderio spontaneo di recargli ajuto.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308