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      Bisogna che le cose belle sieno a una certa distanza le une dalle altre, distanza o di luogo, o di tempo in guisa tale che abbia luogo fra una sensazione e l'altra d'intromettersi il dolore. Un libro in cui di seguito vi fosse una serie contigua di idee tutte sublimi e fitte, non potrebbe essere mai un libro piacevole, se non l'ajutasse l'oscurità. Questa oscurità obbliga il lettore a interporre uno spazio per meditare attentamente, onde poter intendere il pensiero dell'autore; frattanto il lettore soffre e per la fatica che è costretto di fare, e per l'impazienza d'intendere. Se questo dolore non è indiscreto, viene rapidamente a cessare coll'intelligenza della proposizione; così le cose troppo fitte, se non ha lo spettatore il tempo di diradarle, riescono sempre di poco pregio.
      È un'arte sagacissima quella di lasciar fare qualche cosa allo spettatore, e di servire di occasione puramente alle sensazioni, ch'egli eccita sopra sè medesimo. Alcune reticenze d'un oratore fanno il medesimo effetto, come la figlia di Attilio Regolo, di cui ho parlato di sopra, coprendosi il volto colla mano del padre in atto di baciarla. Quel volto celato lascia in libertà la fantasia d'ogni uomo di figurarsi la fisonomia la più bella, la più addolorata che ciascuno può immaginare; quindi ognuno risvegliando le idee più analoghe a sè medesimo, agisce sulla propria sensibilità in un modo assai più energico di quel che farebbe, se l'oratore, il pittore, il poeta, ec. volessero agire in dettaglio essi medesimi, e determinare l'impressione.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





Attilio Regolo