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      Ciò posto, siccome di sopra ho detto, il piacere non essendo che una rapida cessazione di dolore, non può in conseguenza essere maggiore giammai della quantità del dolore, la di cui cessazione non può essere maggior quantità che lui medesimo. Di più l'uomo soffre dei dolori, i quali cessano lentamente, onde non hanno un piacere che ad essi corrisponda. Dunque la somma totale delle sensazioni dolorose debb'essere in ogni uomo maggiore della somma totale delle sensazioni piacevoli. Tal è la condizione dell'uomo; ma la seducente e consolatrice speranza ci sta sempre al fianco sino all'ultimo respiro, sparge di rose la scoscesa e laboriosissima via; per lei prendiamo vigore e fiato; e s'ella ci spigne al di là del breve viver nostro, ci fa ridenti attraversare fralle difficoltà più scabrose, e placidi soffrire anche i dolori più forti.
      Se fosse vero che ogni uomo egualmente avesse che soffrire, e che godere, se fosse vero che il sano, ricco, libero, rispettato avesse tanti mali e beni, quanti ne ha l'infermo, povero, carcerato, e abbietto, questa odiosissima verità distruggitrice di ogni germe benefico di compassione sarebbe da proscriversi da chiunque onora l'umanità. Ma la immortale verità non nuoce ai più cari e preziosi sentimenti dell'uomo, e l'opinione di questa sognata uguaglianza è un patentissimo errore. Se ogni piacere consiste nella rapida cessazione d'un dolore, e se ogni dolore può cessare anche lentamente, ne viene per conseguenza che può essere diversissima la proporzione fra l'uomo, e l'uomo; e mentre uno nella serie della sua vita avrà un terzo delle sue sensazioni piacevoli, un altro appena ne avrà un decimo, un centesimo.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308