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      Io non dirò il paradosso che un patrimonio cospicuo sia un male, nè che l'uomo saggio debba spogliarsene, o gettar nel mare le ricchezze, come si raccontò d'un antico Filofoso; dico anzi che questi potranno essere mezzi per acquistare assai beni e contribuire alla propria felicità; ma dico che ciò accaderà allorquando questi mezzi ci sieno venuti indipendentemente da nostri sforzi continuati per ottenerli, perchè allora chi se ne trova al possedimento può aver l'animo superiore alle ricchezze medesime, e considerandole come mezzo d'aver i beni, e non beni per loro medesime, maneggiarle, ripartirle, e servirsene con accorta e saggia distribuzione senza affanno; laddove l'uomo che divorato dal desiderio di ricchezza l'ha ammassata gradatamente, colle proprie azioni deve aver già abituato il suo cuore all'affannoso desiderio che non mai si limita, anzi si moltiplica colla nuova esca, e signoreggiato dal proprio denaro ne porta servilmente il peso e palpita e s'angustia per accrescerlo, conservarlo, e ripartirlo. Lorenzo de' Medici trovò da' suoi maggiori ammassati i tesori, nella sua prima età non si occupò col pensiero d'arricchirsi, ma portato da un felicissimo genio verso il bello e il grande, dotato di fino sentimento per discernerlo si abbandonò in braccio alla nobilissima passione di onorare e proteggere il merito; conosce in un fanciullo la nascente passione per essere uno scultore, lo abbraccia, lo assiste, lo ricovera, lo anima, e presenta alle età venture un Michelangelo.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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