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      Altri ravvisano il denaro come un pegno, e mezzo per ottenere le merci: ma sotto di questo aspetto egualmente pure le merci sono un pegno e mezzo per ottenere il denaro, e ogni merce è pegno e mezzo per ottenere un'altra merce. Altri definiscono il denaro la comune misura delle cose, e con ciò dimenticano che il denaro ha un valore, ed è materia prima di molte manifatture, e qualunque cosa che abbia valore misura parimente, ed è misurata da ogni altra cosa di valore.
      Queste definizioni dunque non competono privatamente al denaro, o non ne comprendono tutte le qualità. L'errore si è comunemente adottato perchè si è voluto considerare il denaro per qualche cosa di più che semplice metallo. Il denaro ha un impronto, ma non riceve valore dall'impronto.
      Il denaro è la merce universale: cioè a dire è quella merce la quale per la universale sua accettazione, per il poco volume che ne rende facile il trasporto, per la comoda divisibilità, e per la incorruttibilità sua è universalmente ricevuta in iscambio di ogni merce particolare. Mi pare che riguardando il denaro sotto di questo aspetto venga definito in modo che se ne ha una idea propria a lui solo, che esattamente ce ne dimostra tutti gli officj.
      I contratti di compra e vendita ritornano al semplice stato di permutazione ed a più facile intelligenza. La teoria del denaro diventa semplicissima, poichè per essere merce universale forza è che sia accettata e dentro e fuori allo stesso valore; e quindi è viziosa ogni arbitraria taffazione oltre il metallo; e quindi la spesa del conio emana dal fondo istesso da cui i pubblici pesi della Sovranità; quindi finalmente ne deriva la preferenza che merita l'argento sul rame, e l'oro sull'argento essendo più universale e più facile a trasportare e custodirsi quel denaro che sotto minor volume comprende valore uguale.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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