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      Il terriere come terriere non paga mai tributo, il tributo lo paga sempre, e infallibilmente il consumatore; egli è vero, che i consumatori sono alla fine quei che possedono, poichè pagano ai non possessori (de' quali consumano il tempo) tutte le loro consumazioni subalterne; però non è in qualità di possessori che pagano il tributo, ma bensì di consumatori. Se però vorrà farsi concorrere al tributo in tal modo il consumatore estero, le nazioni rivali nella vendita potranno annientare la nostra esportazione offrendo le merci a minor prezzo.
      Credo giovevolissima allo Stato una tariffa saggiamente immaginata, e un tributo giudiziosamente imposto sulle merci, ma non credo che sia utile giammai il proibire l'uscita d'alcuna materia prima dallo Stato; sebbene credo utile l'imporre a quell'uscita un tributo. La ragione di ciò si è già accennata altrove, perchè le leggi proibitive e vincolanti l'uscita avviliscono il prezzo, perchè al bel principio sottraggono tutto il numero de' compratori esteri a fronte dei venditori nazionali. Avvilito il prezzo se ne deve diminuire la coltura necessariamente, e la materia prima caderà nelle mani di alcuni pochi monipolisti che non lasceranno godere alla nazione nemmeno l'abbondanza di questa materia prima, di che ho parlato più sopra; laddove un tributo cautamente impostovi fa l'effetto di allontanare il compratore estero bensì, ma non l'esclude, nè si dà luogo a nascere il monipolio.
      Per la tutela poi di questo tributo sulle merci è da osservarsi che quanto più le merci sono voluminose e di valore, tanto più si può accrescere il tributo; e quanto meno ne è il volume o il valore, tanto debb'essere più leggiero il tributo: e ciò perchè quanto è più facile la frode, e quanto maggiore interesse vi è di farla, tanto più si fa; e la pena naturale del contrabbando si è la perdita della merce fraudata.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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