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      Se fosse sperabile un accordo così fortunato (nel tempo in cui nemmen si è fatta una convenzione per ridurre i pesi e le misure all'uniformità generale, il che pure non porterebbe sacrificio alcuno o dispendio a farsi) nessun uomo vi sarebbe che volesse contraddire a una idea tanto provida e umana, che tenderebbe ad accrescere il numero de' nostri simili, e ad aumentare gli agj della vita sopra di ciascuno. Ma fin tanto che altri Stati impongono tributo sulle merci, e che si sforzano di allontanare le nostre dal consumarsi entro i loro confini, necessità vuole che noi pure rendiamo ad essi più care le materie prime che ricevono da noi, e in paragone nell'interno consumo dello Stato aggraviamo di tributo le manifatture estere; cosicchè le nostre abbiano, sempre che si può, la preferenza; che se ciò non si facesse da una nazione sola, dico, che quella soffrirebbe colla massima energia i mali che posson cagionare i tributi sulle merci, e avrebbe rinunziato alla utilità che se ne può risentire.
      Riassumendo la Teoria del tributo io dirò che la esatta giustizia vorrebbe che il tributo venisse ripartito sopra di ciascun possessore a misura di quanto possede, ma gl'inconvenienti che altrimenti nascerebbero obbligano a escludere i meri possessori della merce universale. I soli possessori adunque dei campi e delle merci vendibili sono i naturali anticipatori del tributo che si paga finalmente dal consumatore. Collocato il tributo, in ogni altra parte sarà sempre di maggior peso alla nazione.


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Discorsi sull'indole del piacere e del dolore; sulla felicità; e sulla economia politica
di Pietro Verri
Editore Marelli Milano
1781 pagine 308

   





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