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      Fa commovere tutta l'umanità la scena della seconda tortura col canape, che dislocando le mani le faceva ripiegare sul braccio, mentre l'osso dell'omero si dislocava dalla sua cavità. Guglielmo Piazza esclamava, mentre si apparecchiava il nuovo supplizio: "Mi ammazzino che l'avrò a caro, perché la verità l'ho detta"; poi, mentre si cominciava il crudelissimo slogamento delle giunture, diceva: "Che mi ammazzino, che son qui". Poi aumentandosi lo strazio gridava: "Oh Dio mi, sono assassinato, non so niente, e se sapessi qualche cosa non sarei stato sin adesso a dirlo". Continuava e cresceva per gradi il martirio, sempre s'instava e dal presidente della sanità e dal capitano di giustizia, perché rispondesse sui deputati della parrocchia e sulla scienza d'essere state unte le muraglie. Gridava lo sfortunato Guglielmo: "Non so niente! fatemi tagliar la mano, ammazzatemi pure: oh Dio mi, oh Dio mi!". Sempre instavano i giudici, sempre più incrudelivano, ed egli rispondeva esclamando e gridando: "Ah Signore, sono assassinato! Ah Dio mi, son morto!". Fa ribrezzo il seguire questa atroce scena! A replicate istanze replicava sempre lo stesso, protestando di aver detto la verità, e i giudici nuovamente volevano che dicesse la verità; egli rispose: "Che volete che dica?". Se gli avessero suggerito un'immaginaria accusa, egli si sarebbe accusato; ma non poteva avere nemmeno la risorsa d'inventare i nomi di persone che non conosceva. Esclamava; "Oh che assassinamento!". E finalmente dopo una tortura, durante la quale si scrissero sei facciate di processo, persistendo egli anche con voce debole e sommessa a dire: "Non so niente, la verità l'ho detta, ah! che non so niente", dopo un lunghissimo e crudelissimo martirio fu ricondotto in carcere.


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Osservazioni sulla tortura
di Pietro Verri
1804 pagine 93

   





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