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      Ciò si eseguì il giorno 30 di giugno. Il povero padre di famiglia Gian-Giacomo Mora, uomo corpulento e pingue, a quanto viene descritto nel processo, prima di prestare il giuramento si pose ginocchioni avanti il Crocifisso ed orò, indi baciata la terra si alzò e giurò. Quando cominciarono i tormenti esclamò: "Gesù Maria sia sempre in mia compagnia, son morto". Il tormento cresceva, ed egli esclamava, protestava la sua innocenza e diceva: "Vedete quello che volete che dica che lo dirò". Fa troppo senso all'umanità il seguitare questa scena, che non pare rappresentata da uomini, ma da que' spiriti malefici che c'insegnano essere occupati nel tormentare gli uomini. Per sottrarsi l'infelice Mora promise che avrebbe detta la verità se cessavano i tormenti; si sospesero. Calato al suolo disse: "La verità è che il commissario non ha pratica alcuna meco". Il giudice gli rispose che "questa non è la verità che ha promesso di dire, perciò si risolva a dirla, altrimenti si ritornerà a far levare e stringere". Replicò lo sgraziato Mora: "Faccia V. S. quello che vuole". Si rinnovarono gli strazj, e il Mora urlava "Vergine santissima sia quella che m'ajuta". Sempre se gli cercava la verità dal giudice, egli ripeteva: "Veda quello che vuole che dica, lo dirò". L'eccesso dello spasimo attuale era quello che l'occupava, e finalmente disse il Mora: "Gli ho dato un vasetto pieno di brutto, cioè di sterco, acciò imbrattasse le muraglie, al commissario". Con tal espediente fu cessato il tormento, quindi per non essere nuovamente ridotto alle angoscie viene a dire: "Era sterco umano, smojazzo, perché me lo dimandò lui, cioè il commissario per imbrattar le case, e di quella materia che esce dalla bocca dei morti". Vedesi la produzione forzata dalla mente di un miserabile oppresso dallo spasimo.


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Osservazioni sulla tortura
di Pietro Verri
1804 pagine 93

   





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