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      Sulla faccia di un uomo abbandonato allo stato suo natura delle sensazioni si può facilmente conoscere la serenità della innocenza, ovvero il turbamento del rimorso. La placida sicurezza, la voce tranquilla, la facilità di sciogliere le obbiezioni nell'esame possono far ravvisare talvolta l'uomo innocente; e così il cupo turbamento, il tono alterato della voce, la stravaganza, l'inviluppo delle risposte possono dar sospetto della reità. Ma entrambi sieno posti, un reo e un innocente fra gli spasimi, fra le estreme convulsioni della tortura; queste dilicate differenze si eclissano; la smania, la disperazione, l'orrore si dipingono egualmente su di ambi i volti, gemono egualmente, e in vece di distinguere la verità, se ne confondono crudelmente tutte le apparenze.
      Un assassino di strada avvezzo a una vita dura e selvaggia, robusto di corpo e incallito agli orrori resta sospeso alla tortura, e con animo deciso sempre rivolge in mente l'estremo supplizio che si procura cedendo al dolore attuale; riflette che la sofferenza di quello spasimo gli procurerà la vita, e che cedendo all'impazienza va ad un patibolo; dotato di vigorosi muscoli, tace e delude la tortura. Un povero cittadino avvezzo a una vita più molle, che non si è addomesticato agli orrori, per un sospetto viene posto alla tortura; la fibra sensibile tutta si scuote, un fremito violentissimo lo invade al semplice apparecchio: si eviti il male imminente, questo pesa insopportabilmente, e si protragga il male a distanza maggiore; questo è quello che gli suggerisce l'angoscia estrema in cui si trova avvolto, e si accusa di un non commesso delitto.


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Osservazioni sulla tortura
di Pietro Verri
1804 pagine 93