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      Resta finalmente da conoscere, se quello che poté praticarsi presso la repubblica degli Ebrei, presso la Grecia e presso Roma, sia eseguibile ancora ai tempi nostri. Io su tal proposito citerò uno squarcio di quello che il re di Prussia ha scritto nella dissertazione, Dei motivi di stabilire o d'abrogare le leggi. "Mi si perdoni", dice il reale autore, "se alzo la voce contro la tortura; ardisco assumere le parti dell'umanità contro di una usanza indegna de' Cristiani, indegna di ogni nazione incivilita, e tanto inutile quanto crudele. Quintiliano, il più saggio e il più eloquente retore, riguarda la tortura come una prova di temperamento; uno scellerato robusto nega il fatto, un innocente gracile se ne accusa. È accusato un uomo; vi sono degli indizj, il giudice vuol chiarirsene, si pone lo sgraziato uomo alla tortura. Se egli è innocente, qual barbarie è ella mai l'avergli fatto soffrire il martirio? Se la violenza del tormento lo sforza ad accusare se stesso indebitamente, quale detestabile inumanità è ella mai quella di opprimere cogli spasimi i più violenti, e condannare poi al supplizio un cittadino virtuoso? Sarebbe men male lasciar impuniti venti colpevoli, di quello che lo è il sacrificare un innocente. Se le leggi vengono stabilite per il bene de' popoli, come è mai possibile che si tollerino di tali che prescrivono ai giudici di commettere metodicamente delle azioni tanto atroci, e che ributtano la stessa umanità? Sono già otto anni (allora che il re scriveva, ora saranno trenta) dacché la tortura è abolita in Prussia; siamo sicuri di non confondere il reo coll'innocente, e la giustizia non perciò ha ella perduto punto del suo vigore". (Qu'on me pardonne si je me recrie contre la question.


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Osservazioni sulla tortura
di Pietro Verri
1804 pagine 93

   





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