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      Nel testamento dell'arcivescovo Andrea, il quale pure, per la eminente sua dignità ecclesiastica, doveva essere uomo colto, egli, nel 903, così scriveva: Senodochium istum sit rectum et gubernatum per warimbertus humilis diaconus de ordine sancte mediolanensis ecclesie nepoto meo, et filius bone memorie ariberti de besana diebus vite sue96. Da ciò comprendesi qual grado di coltura poteva esservi in que' tempi. Certamente dovevano rimanere sconosciuti gli autori de' buoni secoli preceduti; poiché per poco che un uomo si addomestichi a leggerli, non sarebbe possibile che così scrivesse. Non sarà forse inverosimile l'opinione che sino da que' tempi si parlasse in Milano un dialetto poco dissimile da quello che si parla oggidì; e che nello scrivere si adoperasse una lingua diversa da quella che volgarmente si parla. In fatti anche presentemente nello scrivere si adopera la lingua italiana, anche dalle persone meno colte; le quali parlando, non mai d'altro fanno uso che del loro dialetto, tanto sformato, che sarebbero inintelligibili ad un Toscano. Se dunque, anche a' nostri giorni i Milanesi, scrivono quella lingua che chiamasi italiana, e nel discorso non se ne servono comunemente mai, non vi può essere difficoltà
      a comprendere come nei bassi tempi scrivessero quella lingua che chiamavano latina, mentre parlavano il dialetto proprio. Quello che mi fa credere che la lingua che serviva per la scrittura, non fosse la usata nel parlare, si è che non vi trovo analogia veruna fra una carta e l'altra.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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