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      I discorsi di Anselmo stavano per cagionare dei torbidi nella città, dove le inimicizie fra i nobili e i plebei erano sopite, piuttosto che spente; e i popolari, prontissimi a cogliere l'occasione di umiliare gli ottimati. L'arcivescovo Guidone si adoperò in modo che l'imperatore Enrico II creasse Anselmo vescovo di Lucca; e per tal mezzo (che nelle circostanze era, se non il solo, almeno il più saggio e il più mite) credette di avere allontanato il pericolo di un fermento nella città. Anselmo da Baggio poi fu sempre ligio d'Ildebrando; con esso venne in Milano, siccome vedremo in seguito; e non dimenticò mai l'oggetto di sottomettere l'arcivescovo alla giurisdizione romana, finché fu innalzato al sommo pontificato per opera d'Ildebrando, col nome d'Alessandro II. Credette l'arcivescovo di essersi assicurata la tranquillità coll'allontanamento dell'eloquente Anselmo. Ma se non si trovò un uomo di quella autorità, non perciò mancarono altri che decisamente cercarono di animare il popolo contro degli ecclesiastici. Tre uomini si collegarono, Arialdo, Landolfo e Nazaro: Arialdo era diacono; nessuno storico lo nega; Landolfo era cherico, se osserviamo quanto ne scrisse il beato Andrea; non era in modo alcuno ecclesiastico, se crediamo allo storico Arnolfo. Nazaro era uno zecchiere assai ricco, de' quali due compagni di Arialdo, uno con l'autorità, l'altro col danaro diede molto vigore al partito de' buoni, dice il conte Giulini170. Convien credere che appunto questo fosse il solo appoggio che Nazaro diede al partito; poiché di lui in nulla si fa menzione, né io più lo nominerò. I due che figurarono furono Arialdo e Landolfo.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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